venerdì 25 gennaio 2013

Scrivere... Writing...


Scrivere…per Franco non era naturale e perciò penso che gli scritti che ci ha lasciato siano tanto più preziosi, veicoli di messaggi più profondi di quanto le parole in sé possano dire. Un autore a cui ha rivolto molti sforzi, per comunicarne l’opera e la rilevanza per chi lavora con le persone, è Primo Levi, a cui ha dedicato il suo ultimo contributo. Mi era sempre sfuggita l’importanza dell’interesse di Franco per Primo Levi ma era una figura che tornava e ritornava nella sua vita e nei suoi discorsi.
In quest’ultimo scritto (in calce) dichiara così apertamente, come le parole di Levi avessero sostenuto la sua opera di umanizzazione all’interno dell’ospedale psichiatrico. Era difficile sopravvivere nel manicomio, era difficile per tutti, non solamente per le ricoverate, anche per i medici, per gli infermieri, per tutti.
Franco a volte raccontava di quanto fosse stata dura, di come in un certo senso si sentisse un sopravvissuto, anche se non mi pare che lui usasse questo termine. Era riuscito a sopravvivere lavorando per tanti anni nel manicomio proprio cercando di creare dei piccoli spazi che consentissero ad ognuno di ricordarsi della propria umanità.
Franco cita un passo di Levi che descrive nella sua forma più radicale la de-umanizzazione, che peraltro purtroppo si continua ad attuare in molte forme, ma di cui nel nazismo si è avuta la forma più estrema che si conosca: “si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengono tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenze e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente a chi ha perso tutto, di perdere se stesso”. Spiega come Basaglia avesse confrontato questa condizione con quella dei ricoverati nei manicomi e quindi racconta: “Nel mio ufficio, dietro la scrivania, figurava la stessa citazione, per sottolineare il terribile destino che normalmente distruggeva le pazienti.”
Ecco, quest’immagine da sola, della sua scrivania con dietro questa citazione, basta a darci un’idea della grandezza del suo contributo nel passaggio da un mondo totalitario a un mondo in cui si comincia ad articolare una diversa visione del rapporto tra le persone. Un contributo concreto, che passava per le piccole azioni e cambiava le cose dal di dentro. Ricordo che mi spiegava come fosse difficile agire in quel contesto, al di fuori del percorso già tracciato dalle ferree regole e consuetudini. Per questo io penso che la sua capacità di attuare tanti piccoli miglioramenti nella vita delle pazienti sia stata davvero ammirevole e ancora un grande esempio di come le vere rivoluzioni possano iniziare dalle piccole cose.

Writing…it wasn’t natural for Franco, so I think the writings he has left are really precious, they bring profound messages that tell us much more than words can say. An author on whom he spent much effort, to communicate his work and his importance for those who work with people, is Primo Levi, to whom he dedicated his last contribution. I never fully realized the importance of Franco’s interest for Primo Levi, which was a figure that came back again and again in his life and talks.
In this last writing (at the end, sorry it's in Italian) he openly declares, how Levi’s words had supported his efforts for humanizing the life in the mental hospital. It was difficult to survive in the asylum, it was difficult for all, not only for the hospitalized, it was difficult for the doctors, for the nurses, for everyone too.
Sometimes Franco would tell how tough that experience had been, how in a certain sense he felt as a survivor, although I am not sure whether he ever used this term. He had managed to survive working for so many years in the mental hospital, as he tried to create space to allow for each one to remember about one’s own humanity.
Franco quotes a passage from Levi that describes de-humanization in its most radical form, something that unfortunately still happens in many circumstances, but which has seen in Nazism the form the most extreme ever known:” try to imagine a man who, together with the people he loves, he is subtracted his home, his habits, his clothes, everything, literally everything he owns: he will be an empty man, reduced to sufferings and need, oblivious of dignity and discernment, because it easily happens when one has lost everything, to lose oneself too”. Franco explains that Basaglia (who was later the extensor of the revolutionary law for the new psychiatric care and the closure of mental hospitals in Italy), had compared this condition to the one of people hospitalised in mental hospitals and he tells: “In my office, behind my desk, you could see the same quote, to point out the terrible destiny that commonly destroyed the life of the patients”.
This image of his desk, with this quote behind it, is sufficient to give us an idea of the greatness of Franco’s contribution in the transition from a totalitarian world to a world which is starting to articulate a different vision of the relationships among people. A concrete contribution, through small actions, changing things from inside. I remember him telling me how difficult it was to act in such a context, to do anything different from the stringent rules and customs. So, in my opinion, his ability in introducing many small improvements in the life of patients is really to be  admired and to be considered a great example of how true revolutions can get started from small things.



PRIMO LEVI 

etologo della soggettività nel campo di concentramento di




                                                              AUSCHWITZ  di

FRANCO PAPARO



Esiste una gran mole di bibliografia su Primo Levi e i suoi libri, e Levi è stato riconosciuto come uno dei grandi scrittori del nostro tempo. Il suo approccio scientifico originale allo studio della soggettività è stato invece quasi sempre ignorato. A mio modo di vedere questo fatto è avvenuto per la prevalenza di critici letterari, di filosofi e di storici tra gli entusiasti studiosi della sua opera e la mancanza di etologi, di antropologi e di psicologi del profondo con un moderno approccio empatico, relazionale o intersoggettivo.
Mostrerò alcune citazioni da “Se questo è un uomo”, che sono, a mio avviso, esempi significativi delle accurate ipotesi empatiche di Primo Levi e della sua capacità di formulare un resoconto accurato di ciò che avveniva nella esperienza soggettiva sua e dei suoi compagni di sventura ad Auschwitz. Primo  Levi era aiutato dal fatto di essere un chimico dotato ed esperto nell’arte di osservare,” di separare, di pesare e di distinguere” (Italo Calvino).
Primo era stato catturato dalla Milizia Fascista “Repubblichina”   come appartenente ad una banda di Partigiani Italiani il 13 di dicembre 1943  (allora il Centro e il Nord d’Italia erano ancora occupati dai Nazisti). Primo venne imprigionato a Fossoli e, riconosciuto come ebreo, dopo pochi giorni i Tedeschi lo presero in carico per la deportazione in Germania.
Da lì cominciò il lungo viaggio in treno verso Auschwitz.




 “Qui ci attendeva il treno e la scorta per il viaggio. Qui ricevemmo i primi colpi: e la cosa fu così nuova e insensata che non provammo dolore, nel corpo né nell’anima. Soltanto uno stupore profondo: come si può percuotere un uomo senza collera?
Tutto era silenzioso come in un acquario, e come in certe scene di sogni. Ci saremmo attesi qualcosa di più apocalittico: sembravano semplici agenti d’ordine.
Era sconcertante e disarmante.”

“Gli sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che a sera. Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo su questa terra.”

“Ma ormai la mia idea è che tutto questo è una grande macchina per ridere di noi e vilipenderci.”

“D’altronde, ci siamo presto accorti che non siamo senza scorta. E’ un soldato tedesco, irto d’armi …”Accende una pila tascabile, e invece di gridare “Guai a voi, anime prave”ci domanda cortesemente ad uno ad uno, in tedesco e in lingua franca, se abbiamo danaro od orologi da cedergli; tanto dopo non ci servono più. Non è un comando, non è regolamento questo: si vede bene che è una piccola iniziativa privata del nostro Caronte. La cosa suscita in noi collera e riso e uno strano sollievo.”

“Incomincia un giorno come ogni giorno, lungo a tal segno da non potersene logicamente concepire la fine, tanto freddo, tanta fame, tanta fatica ce ne separano: per cui è meglio concentrare l’attenzione e il desiderio sul blocchetto di pane grigio, che è piccolo, ma fra un’ora sarà certamente nostro, e per cinque minuti, finché non l’avremo divorato, costituirà tutto quanto la legge del luogo ci consente di possedere.”




 “si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengono tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenze e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente a chi ha perso tutto, di perdere se stesso”
 Un amico, il famoso psichiatra Franco Basaglia, morto  nel 1980 a soli 55 anni,  il primo psichiatra che ha lottato praticamente per l’abolizione dei manicomi   nel nostro Paese, ha usato questa  citazione in un articolo del 1967 per indicare  la somiglianza con la situazione dei pazienti nel manicomio e la loro   “carriera morale”. Nei primi anni 70, iniziai nell’Ospedale di Santa Maria della Pietà a Roma. un duro lavoro di” umanizzazione” e di “de-istituzionalizzazione”  come primario a tempo pieno di un Reparto di “donne agitate con problemi organici”,  con due medici assistenti volontari (uno di essi è sda molti anni analista di training della S.P.I.) con il sostegno “morbido” dei  sindacati degli infermieri  e la presenza di un gruppo di  17 volontari motivati (studenti di psicologia. medicina e della scuola di servizio sociale ).  Nel mio ufficio, dietro la scrivania, figurava la stessa citazione ,per sottolineare il terribile destino che normalmente distruggeva le pazienti.
Allo stesso tempo sono completamente  d’ accordo con Primo levi per la sua irritazione e il suo scetticismo  nei riguardi   di qualsiasi  tentativo di  assimilare la vita nel campo di concentramento alla vita dei pazienti nel manicomio. L’obiezione di Primo Levi  era giustamente che il comportamento e l’atteggiamento    di odio dei Nazisti era un aspetto centrale e che le loro intenzioni erano di distruggere e umiliare ogni singolo ebreo.
“Ma consideri ognuno, quanto valore, quanto significato è racchiuso anche nelle nostre piccole abitudini quotidiane, nei cento oggetti nostri che il più piccolo mendicante possiede. Un fazzoletto, una vecchia lettera, la fotografia di una persona cara. Queste cose fanno parte di noi come membra del  nostro  corpo. Né è  pensabile di venirne privati, nel nostro mondo, ché  subito  ne troveremmo altre  a sostituire i vecchi, altri oggetti che sono nostri in quanto custodi  e suscitatori di memorie nostre.”
“In questo luogo, lavarsi tutti i giorni nell’acqua torbida del  lavandino immondo è .praticamente inutile ai fini della pulizia e della salute; è invece importantissimo come sintomo di residua vitalità e necessario come strumento di sopravvivenza morale.”

Sogno: “Qui c’è mia sorella, e qualche amico del passato, e molta altra gente. Tutti mi stanno ascoltando …. E’ un godimento intenso, fisico, inesprimibile, essere nella mia casa, tra persone  amiche, e avere tante cose da raccontare: ma non posso non accorgermi che i miei ascoltatori non mi seguono. Anzi; essi sono del tutto indifferenti: parlano confusamente d’altro fra di loro, come se io non ci fossi. Mia sorella mi guarda, si alza e se ne va senza far parola.
Allora nasce in me una pena desolata, come certi dolori appena ricordati della prima infanzia … simili a quelli per cui i bambini piangono.”
Primo si sveglia: “Il sogno mi sta davanti ancora caldo, e io, benché sveglio, sono tuttora pieno della sua angoscia: e allora mi ricordo che questo non è un sogno qualunque, ma da quando sono qui l’ho già sognato, non una ma molte volte, con poche variazioni di ambiente e di particolari. Ora sono in piena lucidità, e mi rammento anche di averlo già raccontato ad Alberto, e che lui mi ha confidato, con mia meraviglia, che questo è anche il suo sogno, e il sogno di molti altri, forse di tutti.
Perché questo avviene? Perché il dolore di tutti i giorni si traduce nei nostri sogni così costantemente nella scena sempre ripetuta della narrazione fatta e non ascoltata.”
… “Mentre così medito cerco di profittare dell’intervallo di veglia per scuotermi di dosso i brandelli di angoscia del sopore precedente, in modo da non compromettere la qualità del sonno successivo. Mi rannicchio a sedere nel buio, mi guardo intorno e tendo l’orecchio. Si sentono i dormienti respirare e russare, qualcuno geme e parla. Molti schiacciano le labbra e dimenano le mascelle. Sognano di mangiare: anche questo è un sogno collettivo. E’ un sogno spietato, chi ha creato il mito di Tantalo doveva conoscerlo. Non si vedono soltanto i cibi ma si sentono in mano, distinti e concreti, se ne percepisce l’odore ricco e violento; qualcuno ce li avvicina fino a toccare le labbra, poi una qualche circostanza, ogni volta diversa, fa sì che l’atto non vada a compimento. Allora il sogno si disfa e si scinde nei suoi elementi, ma si ricompone subito dopo e ricomincia simile e mutato: e questo senza tregua per ognuno di noi, per ogni notte e per tutta la durata del sonno.”



“Se fossimo ragionevoli, dovremmo rassegnarci a questa evidenza, che il nostro destino è perfettamente inconoscibile, che ogni congettura è arbitraria ed assolutamente priva di fondamento reale. Ma ragionevoli gli uomini sono assai raramente, quando è in gioco il loro proprio destino; essi preferiscono in ogni caso le posizioni estreme; perciò, a seconda del loro carattere, fra di noi gli uni sono convinti immediatamente che tutto è perduto, che qui non si può vivere, e la fine è certa e prossima; gli altri che, per quanto dura la vita che ci attende, la salvezza è probabile e non lontana e, se avremo fede e forza rivedremo le nostre case e i nostri cari:le due classi dei pessimisti e degli ottimisti, non sono peraltro così ben distinte: non già perché gli agnostici siano molti, ma perché i più, senza memoria né coerenza, oscillano tra le due posizioni-limite, a seconda dell’interlocutore e del momento.”


“Chajm è il mio compagno di letto, ed io ho in lui una fiducia cieca. È un polacco, ebreo pio, studioso della Legge. Ha press’a poco la mia età, è di mestiere orologiaio, e qui in Buna fa il meccanico di precisione; è perciò fra i pochi che conservino la dignità e la sicurezza di sé, che nascono dall’esercitare un’arte per cui si è preparati.”

“ La  presunzione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è una proprietà della sostanza umana.
Gli uomini liberi danno a questo scopo molti nomi, e sulla sua natura molto pensano e discutono.”

“In questo Kabe, parentesi di relativa pace, abbiamo imparato che la nostra personalità è fragile, è molto più in pericolo che la nostra vita; e i savi antichi, invece di ammonirci “ricordati che devi morire”, meglio avrebbero fatto a ricordarci questo maggior pericolo che ci minaccia.
Se dall’interno del Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui.”

19  gennaio  1945

“ Quando fu riparata la finestra sfondata, e la stufa cominciò a diffondere calore, parve che in ognuno qualcosa si distendesse, e allora avvenne che Towarowski (un franco polacco di ventitre anni, tifoso) propose agli altri malati di offrire ciascuno una fetta di pane a noi tre che lavoravamo, e la cosa fu accettata.
Soltanto un giorno prima un simile avvenimento non sarebbe stato concepibile. La legge del Lager diceva: << mangia il tuo pane e, se puoi, quello del tuo vicino>>, e non lasciava posto per la gratitudine. Voleva ben dire che il Lager era morto.
Fu quello il primo gesto umano che avvenne fra noi. Credo che si potrebbe fissare a quel momento l’inizio del processo per cui, noi che non siamo morti, da Häftlinge siamo lentamente ridiventati uomini.”

“I SOMMERSI E I SALVATI”
Dopo  anni di discussioni e riflessioni (1986)i Primo Levi scrisse “I sommersi e i salvati”.
Si tratta di un  estremo , irriducibile, tentativo di capire  e di spiegare, dopo circa quaranta anni, quello che era successo d Auschwitz.
Primo Levi  sottolinea come fino al momento in cui scrive , “… nonostante l’orrore di Hiroshima e Nagasaki, la vergogna dei Gulag, l’inutile e sanguinosa campagna del Vietnam, l’auto-genocidio cambogiano, gli scomparsi in Argentina, e le molte guerre atroci e stupide a cui abbiamo assistito, il sistema concentrazionario nazista rimane tuttavia un unicum, sia come mole che come qualità. In nessun altro luogo e tempo si è assistito ad un fenomeno così imprevisto e così complesso, mai tante vite umane sono state spente in così breve tempo e con una così lucida combinazione di ingegno tecnologico, di fanatismo e di crudeltà….”



Nel suo coraggioso tentativo di comprendere, Levi è indotto  a formulare una serie di osservazioni e riflessioni,  a mio avviso molto significative, sulla soggettività   e il comportamento umani. In particolare:
Sulla memoria;
Sulla comprensione come inevitabilmente semplificante;
Sulla semplificazione come ipotesi di lavoro;
Sull’aggressività dei nazisti;
Sulla scelta e la selezione da parte dei Nazisti degli internati ebrei come Guardie (Kapos e Prominents) per controllare e uccidere nelle camere a gas i prigionieri. Secondo Levi “Aver concepito ed organizzato le Squadre” (con la partecipazione prevalente degli internati ebrei) è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo... “Infatti, l’esistenza delle Squadre aveva un significato, conteneva un messaggio: noi, il popolo dei Signori, siamo i vostri distruttori, ma voi non siete migliori di noi, se lo vogliamo e lo vogliamo, noi siamo capaci di distruggere non solo i vostri corpi ma anche le vostre anime,. così come abbiamo distrutto le nostre”.              
Sull’angoscia;
Sui sentimenti di colpa che coincidevano con la riacquistata libertà
Ho voluto  dare un’idea, per quanto sommaria, dell’importanza e della qualità di questo importante libro di Levi, che non è così conosciuto quanto il primo.
   Conclusioni
Ritengo che tutte le citazioni che ho mostrato  siano una chiara conferma della mia tesi, secondo la quale Primo Levi, oltre ad essere diventato un grande scrittore, era un etologo della soggettività molto dotato e come tale i suoi due  libri “ Se questo è un uomo”  e” I sommersi e i salvati” meritino di diritto di essere usati come testi nella  formazione universitaria  degli psicologi, degli psichiatri e degli psicoanalisti e di essere familiari a tutti coloro che si occupano di persone che hanno subito un grave trauma sociale.
Vorrei concludere questo breve intervento, riportando un brano di Samuel Taylor Coleridge, inserito da Primo Levi come exergo ai “Sommersi e i salvati”.
Since then, at an uncertain hour,
 That agony returns,
And till my ghastly tale is told
The hearth within me burns.
The Rime of the Ancient Mariner       
vv.482-85                                                                                           

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